Sono ragazza ancora e bella nel mio abito lungo, a un ballo, non so dir quale, tantissimi anni fa. Un poco frastornata dalla musica, timida nei miei anni verdi, tra tanti nomi altisonanti della "Roma bene" (come si chiamava allora la crema della società romana), e tutti cugini e parenti tra loro nelle ramificazioni famigliari che si perdono nei secoli, me ne sto d'un canto e d'un tratto, bello, anzi bellissimo, m'appare un giovane elegante, in smocking come sono tutti quanti.
E' alto con i capelli un poco lunghi, e un viso che non potrò dimenticare. Mi chiese: "Balli?" E ballai sì, con lui un valzer e un altro ancora, in vorticoso girare e lui mi conduceva, i capelli biondi e lunghi che avevo mi facevano il girotondo intorno, e io non ero più sulla terra perché i piedi miei volavano e appena sfioravo il pavimento. Danzavo, libellula, io, che il valzer lo masticavo appena perché me lo aveva insegnato, previdente, la nonna Lisetta a San Giuliano, su e giù lungo la corsia rossa del salotto, lei e io allacciate: "Un, due, tre. Un due, tre!".
Durò, quel vortice mondano, credo una mezz'ora, poi il principe (perché lo era davvero) mi riaccompagnò al mio posto e si perse tra tanti altri visi eleganti, blasonati di cui conoscevo i bei nomi coronati e qualche piccolo peccato. Ed ecco l'ho incontrato di nuovo, il mio principe, ormai ingrigito e non più azzurro, sì, lungo la via...
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